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La serata finale della prima edizione del Premio Ermanno Olmi, destinato a promuovere e valorizzare i cortometraggi di giovani registi, si svolgerà l’11 dicembre in Auditorium di Piazza Libertà a Bergamo. Durante al serata saranno proiettate le opere finaliste del concorso e la giuria, composta da Fabio Olmi, Maurizio Zaccaro, Paola Suardi, Angelo Signorelli e Adriano Piccardi, proclamerà i 3 film vincitori.

Il programma della serata:
ore 20 — aperitivo di benvenuto.
ore 20.30 — proiezione delle opere vincitrici e premiazione, alla presenza dei registi e della giuria.
A seguire — proiezione del film Il mestiere delle armi (2001) di Ermanno Olmi, nella nuovissima versione restaurata nel 2019 dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e dall’Istituto Luce-Cinecittà.

L’ingresso alla serata è gratuito. Si consiglia la prenotazione (info@premioolmi.it)

 

Il mestiere delle armi
di Ermanno Olmi (Italia, Francia, Germania, Bulgaria 2001, 105′)
con Christo Jivkov, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchkov, Fabio Giubbani, Sasa Vulicevic, Dessy Tenekedjieva

Presentato in concorso a Cannes nel 2001, racconta gli ultimi giorni di vita del famoso capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere, morto a soli 28 anni nel 1526. Scritto da Ermanno Olmi e magnificamente fotografato da suo figlio Fabio, il film si è aggiudicato 9 David di Donatello e 3 Nastri d’argento.
Il restauro è stato realizzato nel 2019 dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e dall’Istituto Luce-Cinecittà, ed eseguito presso i laboratori di Istituto Luce-Cinecittà a partire dal negativo originale 35mm e dal disco magnetico-ottico originale Dolby Digital 5.1. Le lavorazioni sono state supervisionate dal direttore della fotografia Fabio Olmi. La supervisione al restauro del suono è stata realizzata a cura di Federico Savina.

Il film segue gli ultimi giorni di vita di Giovanni de’ Medici, detto “delle Bande Nere”, “nobile e valoroso capitano” (scrisse l’Aretino), dell’esercito di Papa Clemente VII, “audace, impetuoso, di gran concetti” e unico “capo, a chi li soldati vadino più volentieri dietro” (scrisse Machiavelli). Nel 1526, Giovanni combatte per fermare la marcia su Roma degli Alemanni dell’imperatore Carlo V, guidati da Georg von Frundsberg, ma è ferito da un’arma da fuoco, perde una gamba, e dopo 4 giorni di agonia muore a Mantova a 28 anni. Il mestiere delle armi è un film sulla morte divisa tra materialità della carne e sacrale eternità, la morte che strazia un giovane eroe la cui vita si fa teatro del contrasto fra la guerra tradizionale, quella dell’etica e dell’epica cavalleresche, e la nuova guerra delle vili armi da fuoco che consentono al meno prode di prevalere, dell’artiglieria a causa della quale “la militar gloria è distrutta” e “il mestier de l’arme è senza onore” (scrisse Ariosto). Sullo sfondo della vita di Giovanni, l’arte della guerra entra in contrasto anche con le milizie mercenarie, e soprattutto con gli intrighi, gli inganni, le macchinazioni della politica, di Alfonso d’Este e di Federico Gonzaga, che favorirono per calcolo personale l’avanzata dei Lanzichenecchi. Il film è un dolente requiem in morte di un giovane uomo, e in morte di un’epoca, di una civiltà, di un mondo.

 

La guerra è un lavoro, una professione (il denaro per i soldati consente ai capi di avere prestigio, autorevolezza e una fragile forma di fedeltà), una vocazione (il pensiero della morte non sfiora la filosofia dell’esistenza), uno strumento della politica (sotterfugi, doppio gioco, voltafaccia e menzogne degli alleati), un laboratorio di tecnica bellica (dalle spade, dalle lance, dagli archibugi ai falconetti, nuovissime bombarde capaci di colpire i soldati avversari con palle da due libbre). “Il mestiere delle armi”, il magnifico film di Ermanno Olmi, racconta gli ultimi giorni di vita di Joanni de’ Medici e la trasformazione epocale della tragica arte della guerra. Nelle folgoranti inquadrature si impastano i ritmi e gli scenari maestosi della natura, spogliata dal tardo autunno, e le colonne degli uomini in marcia; le scene di massa, filmate con ammirevole sensibilità per lo spazio e per il movimento, e scene di solitudine, di veglia, di lettura, di attesa, di ricordo (della moglie e del figlio) e di mestizia (l’amore per la nobildonna di Mantova interpretata da Sandra Ceccarelli). Il regista coglie, grazie ad uno stile purissimo, uno dei segreti di un mondo e di un secolo, il Cinquecento, in cui le azioni cominciano ad entrare in conflitto con i pensieri e il Rinascimento aspetta Cartesio e trema per la scienza delle armi.

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