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La serata finale della terza edizione del Premio Ermanno Olmi, destinato a promuovere e valorizzare i cortometraggi di giovani registi, si svolgerà il 2 dicembre in Auditorium di Piazza Libertà a Bergamo. Durante al serata saranno proiettate le 4 opere finaliste del concorso e la giuria, composta da Emanuela Martini (critico cinematografico), Annamaria Materazzini (Bergamo Film Meeting Onlus), Cecilia Valmarana (responsabile RaiMovie), Giuseppe Previtali (docente di cinema presso l’Università degli Studi di Bergamo) e Sara Luraschi (regista) assegnerà il Premio Ermanno Olmi e la menzione speciale all’opera più significativa che riflette sulla necessità di salvaguardare la Terra, tema oggi attualissimo e sempre caro al regista, che lo ha celebrato anche nel cortometraggio Il Pianeta che ci ospita, presentato in occasione di Expo 2015.

Il programma della serata:
ore 19.30 — premiazione e proiezione delle opere vincitrici, alla presenza dei registi e della giuria.
ore 21.15 — proiezione del film Il tempo si è fermato nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, lungometraggio di esordio dell’allora ventottenne regista bergamasco costruito sui piccoli fatti quotidiani, sui gesti, i sorrisi, le mezze frasi, e sul difficile rapporto tra l’uomo e la montagna, e premiato nel 1959 con la Gondola d’oro alla X Mostra Internazionale del film documentario di Venezia.

L’ingresso alla serata è gratuito. Prenotazione a info@premioolmi.it

 

Il tempo si è fermato
di Ermanno Olmi (Italia, 1959, 83’)
Il controllo di una grande diga vicino all’Adamello è affidato, durante l’inverno, a due soli guardiani. Un giovane studente sale per dare il cambio ad uno dei due, convinto di poter approfittare della tranquillità della zona per preparare i suoi esami. Così, due uomini molto diversi tra loro si ritrovano insieme, immersi nella solitudine montana. I rapporti tra il ragazzo e l’altro guardiano, un uomo di mezza età, sono infatti all’inizio freddi e imbarazzati ma, complice una notte di tormenta, nascerà fra i due una sincera amicizia.

 

 

«Avevo scoperto il cinema attraverso un fatto abbastanza sconvolgente per me: la contrapposizione di due tipi di cinema quello americano di confezione, che mandava in visibilio le platee in quel momento e il neorealismo. Ho scoperto il neorealismo assistendo a una proiezione di Paisà di Rossellini. Rimasi folgorato. (…)

Cominciai a girare dei documentari sulle attività dopolavoristiche: gare di pesca, di sci, gite, ecc.. Quei documentari sono stati la mia palestra. Dopo questa fase di apprendistato sono passato a qualcosa di più impegnativo: ho cominciato a riprendere le fasi della costruzione di una diga, di una centrale elettrica e via dicendo. A poco a poco mi sono accorto che più che la documentazione del lavoro, mi interessavano gli uomini che producevano quel lavoro, le loro facce. (…) Ho imparato il mestiere stando in moviola, andando al cinema, guardandomi intorno».

(Aldo Tassone, Parla il cinema italiano, vol. II, Edizioni il Formichiere, Milano 1980, pp. 198-199)

«Ho sentito in primo luogo la necessità di raccontare l’ambiente, i rumori, eliminando al massimo la musica che abitualmente invadeva i documentari, li gonfiava di retorica. In alcuni, per esempio Tre fili fino a Milano, c’è già la voce umana, oltre a quella dello speaker. Così sono arrivato a fare Il tempo si è fermato che è il primo e credo l’unico film interamente in presa diretta. (…) Il soggetto è nato da una somma di esperienze. Questi cantieri erano per me l’occasione di incontrare essere umani molto differenti. Mi sono così servito di questa situazione. che mi appariva adatta per il momento in cui vivevamo, per mettere a confronto non tanto due tipi d’italiani, il nord e il sud. o il proletariato e la borghesia, ma soprattutto due generazioni che devono incontrarsi per comunicarsi delle esperienze. (…)

Era il momento del “cinemascope”. Il cinema americano trionfava con questo schermo gigante, nel quale correvano migliaia di cavalli, questo enorme schermo sempre riempito da un sacco di cose. Allora io ho accettato la complicità del grande schermo, che mi dava delle possibilità in più per il genere di paesaggio scelto, la montagna, la diga, quei grandi spazi, quei grandi orizzonti. Ma nello stesso tempo era – forse con una punta di presunzione – una sfida: come riempire lo schermo con una sostanza di tipo differente, non con una quantità di oggetti, ma con una qualità di persone.
In Il tempo si è fermato come poteva avvenire l’incontro di quei due uomini? Siamo nel 1959, sono gli anni della “ripresa economica”, c’è una frenesia di lavoro, la Borsa sale, l”Italia si è rimessa in circolazione” tra i paesi industriali del mondo, abbiamo una manodopera formidabile, riusciamo a produrre motto, ecc.; non c’erano pause. Allora, quei due, come si trovano? Occasionalmente, ecco, in questo strano gioco del lavoro che, come un fiume che scorre, crea talvolta delle controcorrenti vicino alle rive… in cui l’acqua si ferma un momento, mentre al centro c’è l’impetuosità della corrente. In questa zona di calma creata dalla corrente stessa, essi si incontrano, un uomo anziano e un giovane il cui padre, molto probabilmente, deve assomigliare al vecchio operaio, un giovane proletario ma che ha già il germe dello studio, che mira all’università, il lavoratore che mira a diventare il borghese del benessere.
Lui legge un libro d’economia mentre il vecchio legge “Cuore” che aveva già letto a scuola. Che tipo di incontro avviene tra loro? C’è un vincitore, un perdente? No. Se volete, il vincitore e la coscienza di quei due che finalmente si rispettano per quello che sono, che sentono che ciascuno dei due ha qualcosa da dare all’altro. Non un affrontarsi di generazioni, ma un incontro di esperienze».

(Lorenzo Codelli, Entretien avec Ermanno Olmi, in “Positif”, n. 185, 1976, p. 45)

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